Il timballo del Gattopardo in Sicilia
La sicilianità o meglio la siculitudine è un’idea vaga perché inafferrabile. Essa è legata alla sinergia felice tra influenze fenicie, greche, romane, arabe, normanne, francesi e spagnole, frutto dello stanziamento in Sicilia di popoli alla ricerca del potere nel Mediterraneo.
La cucina tradizionale siciliana è il prodotto di tale sincretismo, oltre ad essere uno spaccato della quotidianità locale e una sorta di fotografia della piramide delle classi sociali.
La Sicilia nel Gattopardo
L’opulenza e l’indolenza caratteristica dell’aristocrazia la ritroviamo in una ricetta descritta con grande forza evocativa nel Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, il famoso timballo di maccheroni. L’autore lo descrive così:
L’oro brunito dell’involucro, la fragranza di zucchero e cannella che ne emanava, non era che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno quando squarciava la crosta. Ne erompeva dapprima un fumo carico di aromi e si scorgevano poi i fegatini di pollo, gli ovetti duri, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi nella massa untuosa, caldissima dei maccheroncini corti, cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio.
Tale timballo, ormai passato alla storia come timballo del Gattopardo, era definito anche del monsù. Questa parola storpiata deriva dall’originale francese Monsieur con la quale venivano chiamati i cuochi fatti venire appositamente d’oltralpe dalla ricca nobiltà siciliana.
Gli ingredienti
La ricetta originaria era un’intrigante combinazione di dolce e salato. Inoltre,univa all’alto grado di difficoltà la ritualità legata ad occasioni speciali. Nel romanzo, infatti, questo capolavoro culinario veniva servito ai commensali invitati alla cena sontuosa che celebrava la riapertura del palazzo Donnafugata, residenza estiva dove il protagonista del romanzo, Principe di Salina, si trasferiva per trascorrervi la bella stagione.
La crema pasticcera aromatizzata alla cannella era una leggera bechamelle dolce proveniente dalla tradizione francese. Nel nostro timballo era utilizzata insieme al sugo di carne per legare la ricca farcia fatta di:
- polpettine e ragù di vitello,
- prosciutto cotto,
- fegatini di pollo,
- funghi,
- salsiccia
- piselli.
Il tartufo nero si legava, invece, alla breve permanenza dei Savoia in Sicilia.
Nella lunga preparazione si rispecchiavano, inoltre, l’indolenza e il vivere dolce dell’aristocrazia siciliana.
Il risultato finale era uno scrigno delle meraviglie fatto di pasta frolla che rivelava al taglio il suo fumante ed opulento contenuto. Oggi lo indicheremmo come un vero presidio slow food.
Caterina De Simone